Cap 33 - L'insostenibile leggerezza dell'essere

Posto sperduto, Neverwinter – 17° midwinter


Ho ancora sulle labbra quel sapore dolciastro della pozione di cura che Britz ha bellamente pensato di passarmi tramite la sua lingua, un gesto che – diciamocelo pure fuori dai denti – ha un che di romantico e di disgustoso in parti uguali. E l’eco della presa in giro di Vryssal mi riecheggia ancora nella mente, come se fosse una biglia impazzita su un tavolo vuoto. Mi dà fastidio che una cosa così, per quanto insulsa, possa essere sbeffeggiata, proprio da lui, che ormai è incontenibile con Myra che, onestamente, non so come possa sopportarlo. Forse le piace e non me lo dice.
Non ho davvero mai pensato di prendere in considerazione una persona come lui, come Britz intendo, lui mi guarda come se fossi un incantesimo ben riuscito, è come se mi parlasse anche quando tace e poi sa aspettare. Sa aspettare al suo posto, rispettare ogni mia insicurezza, sa quanto io sia fragile e non oltrepassa mai quella linea immaginaria sfociando nel volgare, come qualcun altro di mia conoscenza dalle orecchie a punta e dalla pelle blu.
Britz Bellowbong…
Che mi ha salvata proprio nel momento in cui ero mezza congelata, mezza confusa e completamente sconvolta, e per un attimo, un fugace ed impalpabile attimo, mi sono sentita leggera.
Ma quanto dura la leggerezza, davvero?
Perché se c’è una cosa che ho imparato, è che io non sempre so essere leggera. Non so vivere le cose con la naturalezza degli altri tre, con la strafottenza di Myra, il sarcasmo di Vryssal, o l’incoscienza di Britz. Io sento tutto. Sempre e troppo. E me lo lego al dito, perché da qualche parte devo pur metterlo tutto questo sentire.
E allora rido, scherzo, faccio battute. Fingo che vada tutto bene, finché non sono sola. E lì, lì capisco che l’insostenibile leggerezza dell’essere... è che io non ci so stare.
So che è tutto confuso, è come vagare in equilibrio sottile appeso alla cima di due isole galleggianti senza nemmeno sapere dove si trovi il nord e il sud; eppure con Britz mi sento proprio così. Da una parte c’è la consapevolezza di essere sempre stata attratta da uomini di alta statura, forse è sciocco, ma mi dà un senso di protezione e accoglienza l’essere stretta in un abbraccio in cui chiudermi o alzarmi sulle punte dei piedi per un bacio... con Britz dovrei accovacciarmi. Eppure, nonostante questo, so che Britz è forse l’unica persona di cui possa davvero fidarmi, a cui potrei dare in mano la mia vita... alla fine, per quanto halfling, con quell’arco è un gigante. Ma resto qui, a metà su questo filo traballante, a cercare di capire cosa voglio e che direzione prendere, in fondo ha davvero importanza? Alla fine dei conti, io son sempre quella sbagliata, quella che chiunque ha abbandonato: i vecchi, e pochi, amanti; amici mai esistiti; famiglia mai riconosciuta se non mia madre che è morta e mio padre che potrebbe essere vivo e, se lo fosse, pare non aver alcun interesse di cercarmi.
Cammino velocemente per la stanza guardandomi in giro ed inciampo nel corpo di Svetlana.
Svetlana… Un nome che ricorda una dolce ed aggraziata ballerina del nord, invece era un’icona di terrore, assetata di sangue e morte. Studio il suo corpo, accovacciandomi su di lei; tra le pieghe delle sue giunture, noto dei piccoli tagli sulla pelle, simili a branchie e piccoli lembi di pelle che spuntano e che sembrano quasi delle pinne translucide.
Guardo distrattamente Myra che mi si avvicina col suo passo leggiadro ed armonioso e si butta in terra con un tonfo distruggendo quell’immagine di perfezione mista a dolcezza e sento quel suo tipico profumo di brezza marina inondarmi le narici.
I suoi occhi si scontrano coi miei e un sorriso beffardo le dipinge il volto. «Apriamola in due, vediamo cosa c’è dentro» neanche ci fossimo coordinate; la frase è uscita da una bocca sola, ma poteva essere l’eco dell’altra. È in questi momenti che io impazzisco di gioia: quando io e Myra funzioniamo come un’unica entità. Quando la mia mente è una continuazione fluida della sua, o forse il contrario, e tutto si allinea. Tutto trova un senso.
Ed è qui, in questo preciso istante, in cui mi accorgo quanto mi è mancata in questi ultimissimi momenti. Perché sì, poco fa per me c’è stato il panico, non saprei descriverlo in maniera differente.
Quando ci ha traditi – lo so che non è andata proprio così, ma in quel momento sembrava un tradimento – ho sentito il dolore vero, quello che parte dalla bocca dello stomaco e ti divora fino ai polmoni e non ti fa più respirare.
Myra è la mia amica. La mia prima e la mia unica. Quella che mi ha sempre accettato senza nemmeno battere ciglio, quella che ha capito chi sono senza mai chiedermi di spiegarglielo.
Prende una lama da terra, sporco di sangue e polvere e mi guarda come a chiedermi aiuto e per quanto possa schifarmi di quella situazione, copro la sua mano con la mia e la guido nella sezione del cadavere.
È particolarmente interessata a tirare fuori ogni cosa che trova, srotolando prima quello che dovrebbe essere l’intestino della donna, poi estraendo lo stomaco, il fegato e chissà quale altro organo, dato che perde la mia attenzione quasi subito. Anche per Vryssal sembra essere troppo, dato che abbandona la scena con l’aria di chi ha mangiato del pesce rancido o una grigliata di sole verdure. Invece, Britz, è ancora lì, con la faccia schifata, certo, ma è lì; non saprei dire se rimane per puro autolesionismo o se non vuole abbandonarci – e anche qui c’è da capire se non ci abbandona per affetto o per paura che si possa smembrare anche qualche altro cadavere.
Il tutto viene condito da conati di vomito quando scopre - sì, scopre – che dentro a quel lungo involucro di carne, sono contenute le feci. Inutile dire che la situazione le sfugge totalmente di mano e Svetlana resta lì, completamente sezionata in un bagno di sangue, vomito ed escrementi, mentre lei, come se nulla fosse, nel suo candido e lindo abito bianco, con un prestidigitation, torna a profumare di sale e spuma marina.
La voce di Vryssal ci richiama sull’attenti - come se potessimo mai perderlo con quella voce profonda che si ritrova – dopo essersi incamminato a passo sicuro come se non fosse caduto almeno tre volte nella stanza precedente. Lo seguiamo perché ormai abbiamo imparato che quando fa così o sta per andare a morire o per combinare qualche guaio e quindi, in entrambi i casi, è meglio essere presenti.
In una grossa sala circolare, dove l’aria sa di sudore e sangue, stesi a terra, troviamo altri tre arpisti e una barda halfling che sembra rivolgere lo sguardo proprio su Britz che corre veloce verso di lei e le dona una delle sue bacche.


È in questo momento che mi rendo conto che anche i forti a volte cadono e hanno bisogno di aiuto e che le persone possono correre in loro soccorso, perché allora io sono sempre quella che sta nelle retrovie a pensare? Penso sempre troppo, anche adesso.
Sapere che potrei entrare negli arpisti mi riempie il cuore di gioia, una gioia semplice ed infantile, ma così palpabile che mi tremano le dita. Essere accettata. Essere benvoluta e non per quello che posso fare, non per la mia utilità, ma per chi sono.
Solo io. Me stessa. È questo tutto quello a cui aspiro, anche se non l’ho mai detto a nessuno, perché desiderare qualcosa così tanto, con così tanta convinzione può renderti vulnerabile.
La piccola halfling, una volta ripresasi, viene tempestata di domande, e con estrema pazienza risponde a tutte. Ci racconta di come venissero torturati a turno, senza pietà, per strappargli informazioni sul sistema di teletrasporto, ci racconta di come proprio loro, la società dei kraken, feccia di basso livello, si fossero organizzati e avessero studiato un piano in grande stile. Ci parla di Svetlana, la potente maga – che ora giace smembrata a pochi passi da noi – e di quanto fosse nettamente più forbita e capace rispetto a tutti gli altri, niente a che vedere con quei banditi di bassa lega.
Per un attimo un brivido mi attraversa la schiena; se qualcuno ha preso in mano un gruppo di questo calibro per trasformarlo in una macchina organizzata, forse sono qualcosa di molto di più di una semplice minaccia.
Thea ci parla del locale “macchine magiche” e non so bene cosa aspettarmi non appena ci apre la porta, da cui arriva uno strano collegamento telepatico che sembra il canzonare di un bambino che ha solo voglia di giocare, d’altro canto potrebbe anche trattarsi di uno psicopatico che vuole torturarci e poi ucciderci sperimentando i modi più sadici.
Davanti a noi, si apre una stanza con esplosioni di rumori, luci arcane, fulmini in ogni angolo e leve in ogni dove; quello che potrebbe sembrare il sogno erotico di un ingegnere (magico anch’esso) e l’incubo di una druida.
Vryssal si tiene in disparte, tempestando di domande tecniche Thea.
«Come funziona se si rompono? Quanto tempo impiegano gli ingegneri magici ad arrivare? Cosa succede se ne rompo uno? E quella leva cosa fa?» insomma, cose che potrebbero distruggere probabilmente l’intera costa della spada, se lasciato solo...
Io, Myra e Britz, veniamo invece incuriositi da tutt’altro.
In un angolo appare un Flumph. Un cosino tondeggiante con tentacoli e grossi occhioni dolci che si chiama Gumph.
Glmph il flumph.
Lui non vuole combattere, non vuole dominare il mondo e per una volta si può pensare di parlare con qualcuno senza dovergli per forza spappolare il cranio, un piacevole diversivo. Lui vuole degli amici e dei fulmini, ricorda me – senza la parte dei fulmini, però.
Non è quindi lui ad essersi insinuato nella mente di Myra poco fa, convincendola di essere il patrono, e con estrema dolcezza e pucciosità racconta di come abbia provato a parlare anche con Svetlana, di quanto però la sua mente fosse potente e disturbante, e di come lui voglia solo stare tranquillo coi suoi fulmini e magari con un po’ di amici a giocare.
Myra a questo punto si scioglie come mai le è successo prima d’ora, i suoi occhi, tendenzialmente di ghiaccio diventano un lago profondo di acqua cristallina e vuole portarselo dietro.
Il flumph, di contro, ci confida di aver origliato un po’ qua e un po’ là negli ultimi giorni: ci racconta di come la società del kraken si stia muovendo, del loro potentissimo capo psionicamente spaventoso e di come Svetlana rispondesse direttamente a lui.
Ha inoltre sentito parlare della black armada e di tutto quello che già sappiamo a riguardo. Inizia anche uno sproloquio sui punti cardinali rivelandoci, quasi senza accorgersene, di come la società del kraken abbia probabilmente il loro covo a Purple Rocks.
La mia amica a questo punto è una pozzanghera di dolcezza e lo accarezza e lo guarda come mai ha fatto prima d’ora e mi chiede, anzi no, mi supplica, di fargli qualche fulmine, chiedendomi in sostanza di sprecare delle magie.
Ho un momento di blocco e tutti nella stanza lo notano, Gumph compreso.
Perché sì, è adorabile e pacifico, ma non mi fa sentire propriamente a mio agio l’idea di aver quel coso intorno che vive di magie di secondo livello e contatti telepatici non richiesti.
Ciò che invece accade è che Myra se lo prende e, per la prima volta nella sua vita, abbraccia qualcuno. Già perché se lo stringe come se fosse per lei la cosa più naturale che ci sia. Proprio uno di quegli abbracci che ti riempiono il cuore e la vita, uno di quelli che ti danno modo di trovare pace e tranquillità in mezzo al caos... uno di quelli abbracci che, a dire il vero, io non conosco.


Per fortuna Vryssal è ancora nell’altra stanza a parlare con Thea del funzionamento dei condensatori magici che alimentano i flussi del sa-dio-cosa, almeno occhio non vede, cuore non duole.
La guardo come se fosse il mio punto fermo in tutta la tempesta e i miei pensieri vorticano immediatamente in una spirale di autocommiserazione senza riuscire a fermarli.
E non per invidia o gelosia – quella mai nei suoi confronti – ma mi domando come faccia sempre a fare tutto così naturalmente, come... bere.
Io ci provo, giuro che ci provo. A essere spontanea, ad essere leggera, a dire la cosa giusta al momento giusto. A non pensare troppo e a non analizzare ogni sguardo o ogni parola.
Eppure, non ci riesco.
Lei invece può essere tagliente come una lama affilata o, improvvisamente, calda come quell’abbraccio (non ci provare Vryssal!!!).
Ha un modo tutto suo di esistere come se il mondo le fosse debitore e nessuno glielo contestasse, mentre io passo la vita a battermi perché nessuno travisi mai le mie parole e i miei gesti, in modo che tutti mi accettino per quella che sono.
A volte mi domando cosa ci sia di rotto in me e mentre la vedo sciogliersi in quell’abbraccio, mi domando se mai qualcuno sarà così spontaneo con me.
Se mai riuscirò a non sentirmi sbagliata, fuori posto o una nota sbagliata in una melodia che tutti sembrano conoscere a memoria.
Facciamo ritorno a Neverwinter, passando per il portale, ancora leggermente storditi da tutto quello che abbiamo visto e sentito e Therys e Toram ci accolgono con un tono cerimonioso e ci dichiarano ufficialmente arpisti in prova.
Suona vagamente come “stagisti non retribuiti”, ma non importa, siamo dentro! Ora abbiamo un simbolo, un ruolo e degli oggetti magici… che i due ci porgono con enfasi, come se stessimo ricevendo delle reliquie sacre da Mystra in carne e ossa.
Britz riceve un utilissimo amuleto che lo trasforma subito in medioman, Vryssal un bastone di trenta centimetri (sopra il quale le battute si sprecano) che si allunga fino a tre metri. Myra, quella a cui è andata probabilmente meglio, un trinket che le consente di avere dei vantaggi contro la morte e io… bhè io prendo una cuffia di lana.
Non fa scintille, non spara raggi, non salva la vita. Non fa nemmeno del tè caldo, ma crea animali, una volta indossato, che non posso controllare tra cui un pipistrello, che con ogni probabilità mi si attaccherà ai capelli obbligandomi a rasarli a zero. So già che questa roba, che sembra più una specie di punizione, non la indosserò mai; vorrei farmi amici, non altri nemici.
È tra l’altro indissolubilmente legata a me e sarà per sempre il simbolo della mia appartenenza agli arpisti. A questo punto mi sento improvvisamente un po’ meno speciale, ma molto più ridicola.
Usciti dalla casa delle mille facce, la tappa successiva è l’isola dei pescatori che è in alto. Molto in alto.
Talmente in alto che per raggiungerla dobbiamo arrampicarci ed attraversare una serie di ponti sospesi che ondeggiano e ci fanno perdere la dignità almeno un paio di volte.
Una volta in cima, tra l’odore di alghe, reti da pesca e una quantità preoccupante di gabbiani, scorgo subito un uomo, baldanzoso, cammina dritto, ha un portamento nobile e delle vesti tutt’altro che umili per essere un semplice pescatore.
Gli occhi attenti, barba curata, l’aria di chi sa benissimo dove gettare il suo amo… Si presenta come Jhonson Pescator, il grande teorico della pesca del luccio.
Mi avvicino con l’intenzione più innocente e cortese del mondo, sfoggiando il mio miglior sorriso e chiedendo indicazioni sulla via per la casa delle tre druide, e magari capire se hanno notato strani atteggiamenti.
Da lì, senza nemmeno capire dove avessi sbagliato e, soprattutto, cosa, parte il disastro.
Jhonson, dopo avermi brutalmente indicato col dito la via principale, esplode in una filippica insultante con un lessico da manuale di retorica avanzata. Mi tratta come se gli avessi appena sputato sulle scarpe lucide e ben tenute, affermando offensiva la mia domanda e che la mia presenza è un insulto per l’equilibrio ittico dell’isola.
Mi lascia lì, a bocca aperta e con qualche insulto raffinato in più sul mio vocabolario; insulto che userò con ogni probabilità contro il mezzelfo che si guarda intorno con aria sognante.
E io che volevo solo delle indicazioni… Ma che ho fatto di male nella vita per ricevere sempre e solo pesci in faccia? A maggior ragione adesso, che mi trovo letteralmente sull’isola dei pescatori. Pensavo di essere andata alla grande (con un 20 naturale), e invece niente... la mia condanna: “star sul ca**o a chiunque respiri.

Appena varchiamo la porta di casa delle tre druide, mi accorgo immediatamente che qualcosa non gira per il verso giusto: non  c’è nemmeno un simbolo dell’Enclave di Smeraldo. Neanche mezzo rametto scolpito, una runa su una parete, una piantina di basilico, timo, salvia. Niente. E le tre padrone di casa non sembrano molto felici di vederci lì. In tutto questo ci si mette anche Vryssal, che non capisco in che modo tenti di aiutare; prima afferma di essere un tecnico del gas, poi di voler diventare lui stesso un druido – me lo immagino abbracciato ad un albero mentre tenta di penetrare la tana dei poveri scoiattoli – poi rincara la dose, definendo tutti noi druidi “non intelligenti”.
«Grazie eh?!»


Le tre, manco a dirlo, si irrigidiscono subito, l’aria si fa tesa, poi succede: un guizzo, qualcosa che attraversa le nostre menti, un brivido che non ci appartiene.
Myra in tutto questo si blocca, lo sguardo è perso e si irrigidisce subito: nella testa della druida dai capelli neri, sente solo un laconico “Sto arrivando” e nel giro di pochi secondi le tre scagliano sull’intero gruppo tre moonbeam che ci investono e che di avvertimento hanno ben poco.
La porta dietro di loro si spalanca e una figura umanoide , altamente disturbante, appare sulla soglia e mentre tutti vedono solo una persona, io – grazie al true sight – vedo la verità. Un mostro.


A quel punto non serve più nessuna parola, lo scontro è inevitabile. Una sola preghiera rivolta a tutti, “Salviamo le tre druide e concentriamoci sull’essere. Sono, con ogni probabilità, controllate da lui”.












 

Comments

  1. "Britz che corre veloce verso di lei e le dona una delle sue bacche". Specifichiamo, le bacche di cura, mica altro!

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