I riferimenti
diventano più oscuri. Parlano di una nuova vita donata a Jhonatan Atlavas e una
frase colpisce il piccolo gnomling perché è scritta e riscritta ovunque, in
maniera opprimente su pagine e pergamene:
Synthariel,
nonostante la tensione che serpeggia nell’aria, riesce a mantenere la calma
necessaria per concentrarsi. Le voci, le visioni, la parola
"sovranità": tutto le suggerisce che ciò che stanno affrontando non
ha nulla a che fare con i mindflayer. La sensazione è chiara, netta. Quella
parola non le è nuova, le ronza nella mente come un’eco lontana, ma non riesce
a ricordare dove l’ha letta o udita.
Il gruppo
decide quindi di proseguire verso sud, oltrepassando il fetore, imboccando un
corridoio stretto che si allarga presto in una nuova stanza, stipata di
scaffalature in legno antico, alcuni crollati, altri ancora in piedi. I libri
sono ovunque; accatastati, mezzi inzuppati, ma anche miracolosamente intatti in
certi punti. L’odore qui è meno pungente e tre grossi candelabri sovrastano gli
eroi che già pensano a come potrebbero portarli fuori da lì, senza farsi
vedere.
Mentre
Synthariel si dedica a un’analisi più attenta degli scaffali, scorrendo titoli
e sfogliando velocemente pagine nella speranza di trovare un legame, una
spiegazione, o anche solo una conferma alle sue intuizioni, gli altri tre
trovano un modo alternativo per far fronte all’ansia crescente: la stupidità.
Il mezzelfo si
lancia con agilità su una scala a binario sperando di riuscire a scivolare da
una parte all’altra della grossa scaffalatura, ma la scala cigola e lui fa un
po’ la figura del clown imbranato.
Scartabellando
un po’ in giro, trovano un libro che pare prezioso, che parla di Neverwinter; è
un libro non aggiornato, scritto prima del cataclisma, avvenuto nel 1451, così
decidono di intascarselo, per poter riempire un po’ le loro tasche, che si sono
pesantemente svuotate dopo essere usciti dalla cloak tower.
La decisione di tornare indietro e seguire lo
sciabordio è unanime e mentre l’acqua sembra aspettarli minacciosa, una voce si
insinua nella loro testa: “Scendete... vi aspetto nell’acqua...”, che, detto
tra noi, è il modo meno rassicurante per invitare qualcuno a fare il bagno.
Per fortuna c’è Synthariel, che come al
solito salva la situazione, e mentre gli altri si guardano nervosi, lei riesce
a entrare in contatto con il mittente del messaggio mentale: un aboleth. Una
creatura psionica marina con un ego smisurato e non è altro che Kzixxaro.
Kzixxaro ha piani ambiziosi: vuole
conquistare il mondo emerso e trasformarlo in una gigantesca piscina infestata
da aboleth. Del resto, ognuno ha il suo sogno. Peccato che nella mappa della
famigerata Black Armada il suo nome campeggi bello grosso sopra Neverwinter,
nonostante lui giuri di non sapere nemmeno chi siano.
E qui, il colpo di scena: non conoscere la
Black Armada lo mette in svantaggio. Forse lo stanno cercando e forse è in
pericolo. Oppure, meglio ancora, i quattro non dovranno nemmeno sporcarsi le
mani e far lavorare gli altri.
Inoltre, odia i mindflayer. Ma proprio tanto.
Dell’Abisso, Kzixxarro non vuole parlare. È
come se solo il suono della parola gli desse fastidio. Quando la druida lo
nomina per conto dell'amica, il suo tono cambia, si fa freddo, tagliente e la mezz’elfa lo riesce a
percepire chiaramente.
Secondo lui, la "Sovranità"
rappresenta il futuro. Il miglioramento. L’evoluzione, ma non spiega mai
davvero cosa voglia dire. Gli eroi, però, cominciano a sospettare che sia molto
peggio di quanto possa sembrare.
Avanzando lungo i cunicoli umidi della Casa
della Conoscenza, arrivano a una vasta distesa d’acqua scura e inquietante. Una
scala, viscida di gelatina e in parte rovinata, si snoda nell’oscurità fino a
un pianerottolo sommerso. Al centro della nuova stanza, che si apre con
inquietante solennità, troneggia una statua di Oghma, per metà immersa
nell’acqua stagnante. La scala prosegue a chiocciola, sotto la superficie, come
se invitasse silenziosamente gli eroi a scendere ancora, più a fondo, più
vicino al cuore della follia.
Uno dopo l’altro, tutti, tranne Myra, si
tuffano o immergono nell’acqua fredda e limacciosa che li accoglie con un
abbraccio gelido.
La statua di Oghma, un tempo imponente, è
ormai irriconoscibile sotto la melma corrosiva. Vryssal, con l’eleganza che gli
è solita, si tuffa con un urlo da battaglia che riesce solo a schizzare ancora
più acqua addosso ai compagni. Britz si avvicina alla statua, come attirato da
una forza sconosciuta. Appena la guarda, la sua mente viene invasa da un
attacco psichico: parole ignote, un rimbombo assordante, come mille voci in una
lingua che non è fatta per essere capita; riesce a chiudere la mente giusto in
tempo, poi, senza pensarci due volte, sferra una spadata alla statua.
Myra, che fino a quel momento aveva osservato
con attenzione da lontano, decide infine di immergersi anche lei. Avanza con movimenti
rapidi e precisi, cercando di raggiungere la statua nella speranza di ottenere
risposte. Quando la sua mano tocca il marmo viscido, anche la sua mente viene
invasa, ma a differenza degli altri, lei capisce le parole. Parole di odio, di
furia, di vendetta.
I tuoi dei saranno decapitati.
I tuoi dei saranno rovesciati.
I tuoi dei moriranno e spariranno. Dimentica
i tuoi dei.
Un sussurro oscuro che cerca di annientare
ogni traccia di fede. Myra riesce a chiudere la mente in tempo, ma non senza
fatica.
Infine, si dirigono verso la porta sommersa
che conduce oltre. È socchiusa, ma bloccata. Ci vuole tutta la forza del gruppo
per cercare di aprirla, e forse anche qualcosa in più. Mentre Britz spinge con
tutte le sue energie e Synthariel grugnisce nel tentativo di aiutare, Vryssal
è... impegnato.
Impegnato a flexare.
I suoi muscoli non sembrano guizzare
con particolare efficacia, anzi: sembra quasi che il mezzelfo stia solo
assumendo pose eroiche e sensuali, più interessato a impressionare eventuali
spettatori immaginari che ad aprire quella porta.
La porta, alla fine, cede con un suono
sgradevole. Oltre la soglia si presenta una scena inquietante: una creatura mai
vista prima, un enorme pesce gatto fluttuante, cosparso di occhi e tentacoli,
levita a mezz’aria. La sua presenza grava sulla mente con una forza psichica
schiacciante, come se ogni pensiero dovesse prima passare attraverso il suo
filtro alieno.
L’aboleth non ha bisogno di parlare. Le
parole si formano da sole nella testa degli eroi, un’invasione che porta con sé
richieste, minacce e rivelazioni.
Il suo scopo, come aveva già anticipato a Synthariel, è quello di dominare Neverwinter, portando una nuova era, quella della
cosiddetta Sovranità Aboletica. Non è solo in questa impresa: ha già chi si è
unito alla sua causa, spontaneamente o meno. Jonathan Atlavas è uno dei suoi
servitori più fedeli, ma non è l’unico; anche a Neverwinter qualcuno lo aiuta nell’ombra, senza farsi riconoscere.
Lui non vuole solo dominare, vuole che Dagult
Neverember muoia. In alternativa, desidera che venga portato proprio lì, nella
Casa della Conoscenza, dove tutto sembra cominciare e finire.
Intanto Britz, con una calma quasi surreale,
racconta ciò che sa dell’Armata Nera, offrendo ogni dettaglio, sperando possa tornare
utile il loro aiuto. Kzixxaro tenta allora di soggiogarli con un attacco
mentale, ma fortunatamente fallisce dato che gli eroi resistono, forse per
istinto o forse per il fatto che la loro mente è ormai un campo minato di
traumi e sarcasmo.
L’ultima proposta dell’aboleth è chiara:
portare Dagult Neverember lì, dinnanzi sua presenza e completare così il
compito. Annuiscono silenziosamente, ma gli sguardi che si scambiano i quattro
amici sono più eloquenti di mille parole.

Mentre si muovono verso nord, accade qualcosa:
dalle ombre emerge una figura familiare, o almeno un tempo lo era. Un essere
umano, o quel che ne resta, con il corpo parzialmente decomposto e il volto
segnato dall’orrore. Nonostante lo stato in cui versa, non c’è alcun dubbio.
È Jonathan Atlavas.
L’illustrissimo.
Il corrotto, il servitore dell’aboleth.
Prima di uscire, la curiosità prende il
sopravvento. Invece di tornare subito indietro, gli eroi decidono di esplorare
ancora un po’, seguendo una scia maleodorante che li guida verso est. L’odore
si fa sempre più intenso, e alla fine li conduce a una stanza dove strane
creature stanno scavando con ritmo ossessivo. Sono mezzi pesci, mezzi umanoidi,
dalle mani palmate e gli occhi sporgenti, impegnati a rimuovere detriti e terra
senza sosta.
Si tratta di Kuo-toa, servitori del grande
Kzixxaro, che sembrano aver ricevuto ordini precisi: ignorare la presenza degli
intrusi.
Mentre il gruppo osserva con diffidenza,
Britz decide di dare un’occhiata più attenta, nella speranza che ci sia
qualcosa di valore nascosto tra i resti. L’avidità, però, ha il suo prezzo:
mette un piede nel punto sbagliato e attiva una piccola trappola nascosta tra i
calcinacci. Un cumulo di pietre si stacca dal soffitto e gli cade in testa con
precisione chirurgica.
Il tonfo risuona nella stanza, accompagnato
da un grugnito di dolore e, naturalmente, da una raffica di risate trattenute a
fatica. I Kuo-toa continuano a scavare come se nulla fosse. Britz, con un
bernoccolo in crescita e l’orgoglio ammaccato, accapparra su qualche oggetto e segue
i compagni su per le scale.
Usciti dal Vault, con ancora addosso il peso
mentale e fisico di ciò che hanno ascoltato, gli eroi si trovano davanti
Altharea, che li sommerge immediatamente di domande. Con un tono urgente e
preoccupato, pretende risposte, e loro gliele danno, spiegando brevemente cosa
si cela sotto la città: un incubo abissale, un essere millenario pronto a
risalire in superficie, e una minaccia troppo grande per essere ignorata.
Non c’è tempo da perdere. Il gruppo corre a
riferire tutto a Lord Dagult Neverember, non prima di aver messo le mani sul
libro dell’Abisso, che sembrava impossibile far uscire dal Vault, ma che ora,
per motivi ignoti, li segue.
Ad attenderli alla fortezza c’è proprio
Neverember. Il suo sguardo sembra già conoscere parte della verità, come se
intuire il peggio fosse ormai abitudine. Gli eroi raccontano tutto: l’aboleth,
la minaccia incombente, il nome di Kzixxaro, la sovranità, e il piano che
prevede la sua morte o, peggio, la sua cattura e consegna.
Synthariel però si accorge di qualcosa. In un
angolo della stanza, immobile come un’ombra, c’è il sindaco. Lo stesso che
aveva incrociato tempo prima, sempre silenzioso, sempre guardingo. Ora però nei
suoi occhi c’è l’odio, e non è più guardingo, è pronto. È lui uno dei servitori
segreti di Kzixxaro, e non appena si sente scoperto, si scaglia con furia cieca
verso gli eroi.
Non arriva lontano. I pugnali di Vryssal
fischiano nell’aria e si piantano nella sua fronte con precisione letale. Il
corpo crolla al suolo senza dignità.
La tensione si taglia con un coltello. La
soluzione pare evidente: bisogna trovare un modo per distruggere o addormentare
per sempre l’aboleth, ma prima che possano proseguire con qualsiasi piano,
qualcosa distoglie l’attenzione di tutti. Il sole è calato, e un suono
inquietante rompe il silenzio: campane. Campane che rintoccano lente, profonde,
minacciose.
Tutti si avvicinano alle finestre e ciò che
vedono blocca ogni pensiero.
Una gigantesca nave fantasma si sta facendo
strada verso il fiume di Neverwinter. Le vele sono brandelli oscuri, la prua
scolpita a forma di teschio, il ponte popolato da ombre in armi. La nave si
muove controcorrente come se l’acqua stessa le cedesse il passo. Non serve
alcuna conferma.
La sua meta è chiara: sta puntando dritta
verso la Casa della Conoscenza.
L’armata nera non è più solo una leggenda.
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