Cap 21 - In lista: quattro superstiti + 1


Gundbarg – 30° profondo inverno – 1° mezzo inverno

Finalmente sulla terraferma, lontani dalle gelide profondità che avevano inghiottito la Golden Crown, i quattro eroi si concedono un momento per respirare. Un respiro vero, non quello filtrato da bolle magiche o interrotto da esplosioni psioniche. Un respiro che sa di alghe marce, sabbia e libertà.
I superstiti, ancora semi-incoscienti ma almeno vivi, vengono sistemati con cura. Hanno l’aspetto di chi è stato sballottato tra incubi e calamari troppo intelligenti per il loro bene, ma con un po’ di fortuna e un paio di tazze di qualcosa di forte, forse si riprenderanno.
Nel frattempo, gli Aldani, con la sicurezza tipica di chi ha frainteso completamente la situazione, si infilano beati nelle acque con l’obiettivo di recuperare lo scudo psionico maledetto. Nessuno degli eroi si offre di fermarli. O aiutarli. O augurare loro buona fortuna. Alcune occasioni, dopotutto, si presentano una volta sola, magari potrebbe giocare a loro favore.
Così, i nostri si allontanano da quel luogo maledetto, carichi come muli: ori, gioielli, candelabri, testate di letti scolpite… non sanno ancora dove finiranno tutte queste cose dato che casa Vryssal, con ogni probabilità andrà restituita. 
Dettagli.
Il viaggio verso Gundbarg è lento, i quattro superstiti dormono praticamente in coma, mentre il gruppo, con il consueto spirito da “non ci pagano abbastanza per questo”, tira avanti.
Quando finalmente decidono di accamparsi, lo fanno in un angolo tranquillo, lontano da tutto e da tutti. Le tende vengono piantate, il fuoco acceso e, per la prima volta dopo giorni, non c’è acqua fino alle ginocchia o morsi di squalo a rovinare la serata.
È tempo di fare qualche parola, ma solo dopo aver appoggiato i candelabri a terra ed essersi scaldati per bene le membra oramai congelate.
Westra Rimonda, madre del fu povero Bern, si lancia come una furia lacrimosa addosso al primo essere vagamente umanoide a portata di braccia: Vryssal. E lui, con la grazia tipica di un elfo del mare abituato a parlare più con le orate che con le emozioni umane, si ritrova incastrato in un abbraccio disperato, carico di domande a cui non ha voglia di rispondere.
Con la stessa delicatezza con cui si scollerebbe una medusa dalla faccia, riesce a liberarsi dalle braccia della signora. Lo fa con una certa eleganza, ma anche con un evidente sguardo panico che lo porta a cercare supporto visivo altrove. Incappa negli occhi della druida (che nel frattempo ha cambiato sesso), alzando un sopracciglio e mimandole con le labbra un sensuale “Ehy, how you doin’”, ricevendo indietro solo un’occhiataccia che sembra dire “che cavolo vuoi?”
Capendo che Vryssal non sarà una spalla di conforto, Westra cerca terreno più fertile e lo trova nel buon Britz. Il ranger, con l’animo un po’ più morbido e il cuore ancora caldo per la perdita del giovane Bern, si commuove subito. Ricorda con tenerezza il ragazzo, i suoi sogni, i suoi calzini spaiati, il suo girino nel cervello… e finisce per offrirle una coperta e un abbraccio goffo, ma sincero.
Myra, nel frattempo, vive una scena completamente diversa. Sbuffa annoiata per queste sceneggiate, seduta vicino al fuoco, mentre con l’unghia affilata si toglie un pezzetto del cervello del figlio che le era rimasto incastrato fra i denti e che elegantemente – finalmente – è riuscita a togliere.


Nessuno dei superstiti riesce a fornire informazioni davvero utili. O meglio, nessuno dei superstiti riesce a fornire informazioni che non facciano pentire i quattro eroi di averli salvati.

Lut Gudaman, il pirata senza lingua, comunica attraverso la mente. Pare sia stato rapito da una barca a remi durante una scommessa persa. Il contenuto della scommessa resta avvolto nel mistero, ma qualcosa nel suo sguardo lascia intendere che non fosse il classico “chi beve più grog”. Una storia lacunosa, poco utile, e pure vagamente deprimente.
L'unica cosa certa è che porta veramente male i suoi diciassette anni.


Poi c’è Quaef Iolaco. Bardo incapace, originario di Chult. Un uomo con una missione nobile, a sentir lui: trovare una cura alla “febbre vaiolante”, una pestilenza orrenda che, a detta sua, produceva bubboni grandi quanto zucche, provocava la perdita completa dei capelli e, dulcis in fundo, faceva sì che il pene cadesse. Letteralmente.  Con effetto gommoso e conseguente rischio di rimbalzo.
Quando finalmente finisce di descrivere la malattia, Quaef si ricorda di dire che è stato rapito durante uno spettacolo su una nave a Gundbarg. Pubblico stimato: tre persone. Due erano parenti.




Quando tocca alla druida, si presenta con una certa solennità che stride meravigliosamente con l’atmosfera surreale del gruppo: Tharilea, Thari per gli amici. E già qui, qualcuno alza un sopracciglio, perché è evidente che nessuno è ancora sicuro se questa Thari fosse una donna anche la sera prima o se sia magicamente sbocciata come un fiore notturno dopo un risveglio particolarmente occulto.
Thari racconta che il suo rapimento è stato leggermente diverso:
lei si trovava nei pressi del lago di Berranzo, in missione per conto dell’enclave di Smeraldo, per cercare un potente druido: Orso Quercioso. Nome altisonante, scopo nobilissimo, grande rispetto per l’equilibrio naturale e bla bla bla. Solo che i quattro eroi quel nome lo conoscono bene. Troppo bene.
Perché il cadavere smembrato giace in una delle loro recenti “imprese difensive”. Difensive nel senso che, come tutti ricorderanno bene, lui voleva mangiarli e loro hanno difeso le proprie carni con la violenza proporzionata.
E così, anche per Thari, le notizie non sono buone. Non c’è un grande ritorno all’equilibrio naturale, né un incontro mistico con un mentore spirituale. Solo una manciata di “ehm”, “mi dispiace”, e “lo abbiamo fatto esplodere perché era uno psicopatico”. Non proprio il modo più poetico per iniziare una collaborazione con una druida, ma d'altronde questo non è un gruppo noto per le buone notizie.
O per la diplomazia.
O per la sobrietà.
In pratica, ogni volta che aprono bocca, è per informare qualcuno che un loro amico, maestro o parente è stato eliminato brutalmente. Spesso da loro stessi.
I quattro decidono di passare alla fase informativa. Con un certo tatto le spiegano che l’isola da cui l’hanno appena salvata non era solo un paradiso di sabbia e torture di sahuagin, ma anche il probabile parco giochi di un branco di mindflayer. Dettagli come lo scudo con l’occhio e le esplosioni psioniche e vengono snocciolati con disinvoltura, come se si trattasse di raccontare la lista della spesa. Sorvolano su alcuni dettagli, come aver mandato degli uomini aragosta a ritirare l'artefatto dei mindflayer, ma trovano terreno fertile per qualche nozione in più. Poche cose, invero, ma Thari indirizza Myra a cercare dei devoti di Umberlee, dea delle acque profonde e delle correnti imprevedibili, sperando che possano offrire qualche spiegazione su quell’inquietante figura mezzo uomo e mezzo polpo. La warlock prende nota con la grazia di chi ha appena scoperto che esistono altri misteri più profondi del proprio trauma, e forse – forse – per un attimo, considera l’idea che avere qualcuno in squadra con almeno mezza idea sul mondo possa non essere del tutto inutile.
Oltre a mostrarsi collaborativa, si offre di aiutarli nel ritorno a Gundbarg, probabilmente nella speranza che il viaggio in compagnia di questi soggetti non la faccia pentire della vita.


A questo punto, mentre camminano per il ritorno in città, Vryssal ha un’idea geniale: controllare la grotta del patibolo del morto, eliminare una volta per tutte la fastidiosa figura di Olgis – qualora fosse stata presente – e tornare a Gundbarg a godersi il bottino e la tranquillità.
Dopo aver lasciato cavalli e bottino alla druida, che si offre generosamente di badare a tutto mentre loro vanno a fare un tour del pericolo, i quattro si dirigono verso la grotta che li aveva già messi in seria difficoltà la volta precedente.
La grotta è proprio come se la ricordano: silenziosa e inquietante, ma priva di leoni marini e spiriti inferociti. L’elfo del mare, sicuro della sua invincibilità, si fa avanti per dare un’occhiata e accertarsi che non ci siano brutte sorprese in agguato. Quando apre la porta che rivela il laboratorio alchemico  si trova davanti una scena che farebbe rizzare i capelli a chiunque.
Una delle gabbie, che nella loro ultima visita era strapiena di ossa, ora ospita un corpo. E non un corpo qualsiasi: un corpo che gli eroi riconoscono fin troppo bene. In piedi, con gli occhi completamente bianchi e fissi su un punto che sembra non esistere, c'è la regina di Gundbarg, Faenrys.
Synthariel, rapita da una furia cieca, vorrebbe lanciarsi contro di lei, approfittando dell’occasione per vendicarsi dell’umiliazione subita con quella strana "purga nella minestra", ma Myra e Britz riescono a fermarla in tempo. Entrambi capiscono che qualcosa non quadra: quel corpo vuoto non è lì da poco. In effetti, la regina che avevano incontrato giorni prima è ormai solo un ricordo. È quasi certo che quella figura che si sono trovati davanti durante la cena presso la fortezza non fosse la vera Faenrys, ma una di quelle maschere indossate dalla malefica nonnina Olgis. Un altro inganno.

Synthariel a questo punto si calma e spiega che le streghe, possiedono poteri che vanno ben oltre la semplice maledizione, ma una delle loro capacità più terrificanti è quella di sottrarre l’anima di una persona, imprigionarla e indossarla. Letteralmente.
Quando una strega decide di prendere il posto di qualcuno, estrae l’anima dal corpo originale, lasciando un guscio vuoto, e la conserva nella famigerata “borsa dell’anima”, un oggetto magico che ogni strega tiene con sé. Finché la borsa rimane intatta e vicina alla strega, lei può mantenere le fattezze della vittima per un tempo indefinito. Può agire e parlare come la persona rubata, ingannando anche i più affezionati. Il piano è quindi chiaro: bisogna tornare velocemente a Gundbarg e liberare il re dalla perfida strega.
Durante il viaggio di ritorno, tra passi affaticati e racconti confusi, i quattro eroi mettono insieme i pezzi del piano definitivo, quello da manuale. L’idea è semplice nella teoria e potenzialmente disastrosa nella pratica: entrare nella fortezza reale e puntare la gemma di True Sight direttamente addosso alla "regina".
Con un briciolo di ottimismo e tanto fatalismo, sperano di evitare spargimenti di sangue, magari convincere il re con la forza della verità a risolvere tutto in modo elegante, maturo e civile. Insomma, l’opposto esatto del loro stile abituale (e probabilmente l'opposto di ciò che avverrà).
Una volta tornati a Gundbarg, tra l’odore familiare di pesce salato e la consueta aria da apocalisse imminente, il bardo decide che ha avuto abbastanza emozioni per un paio d’anni e si dilegua, lasciando il gruppo con un vago cenno e un aneddoto di troppo. Il pirata muto, invece, riceve un’offerta sorprendente: salpare con loro una volta sistemate le ultime cose. Ora che il gruppo comincia a somigliare vagamente a un equipaggio, ci vuole qualcuno che sappia almeno distinguere prua da poppa, senza mettere al timone Vryssal che vede solo poppe.
La Bern-mamma viene sistemata in locanda, per riprendersi dallo shock della perdita del figlio e Thari resta indietro, lontano dai riflettori, con il corpo della vera regina ben nascosto, pronta a calarla in scena al momento opportuno.

Arrivano finalmente alle maestà e, per un attimo, tutto sembra tranquillo, come se niente fosse cambiato, ma non appena varcano la soglia del palazzo, un brivido gelido percorre la spina dorsale di ognuno di loro. C'è qualcosa di decisamente sbagliato nell'aria. Il re Olgrave è schiacciato e afflosciato su sé stesso, seduto sul trono come un burattino senza fili, un uomo perduto nel vuoto dei suoi pensieri. La “regina”, circondata da un'armata di gatti che sembrano muoversi furtivamente nell'ombra, giace nell'oscurità, accanto al re, ma i suoi occhi brillano con un'intensità maligna e minacciosa.
Il piano, apparentemente infallibile, viene messo in moto: gli eroi cercano di mantenere una facciata diplomatica, cercando di avvicinarsi senza destare troppo allarme, ma la situazione cambia improvvisamente quando la “regina”, avvertendo il pericolo, si irrigidisce. Non appena scorge la gemma di True Sight nelle mani di Synthariel, il suo volto cambia, e viene quindi svelata la sua vera natura. La magia malefica che la riveste è immediatamente svelata. Con un gesto rapido e deciso, richiama le guardie a sé, che si dispongono prontamente per difenderla. 


In un lampo, gli eroi comprendono che ogni tentativo di diplomazia è ormai inutile, ma la loro reazione è immediata. In un frenetico scambio di pensieri telepatici, chiamano la druida con il corpo della vera regina e si preparano alla battaglia. L'atmosfera è carica di tensione, l'aria stessa sembra tremare sotto il peso della minaccia imminente. Ogni membro del gruppo si prepara a combattere con determinazione, il momento è arrivato.
La nonnina, quella tenera vecchietta apparentemente innocua con le mani tremolanti e l’odore di erbe aromatiche, si è rivelata essere il flagello di Gundbarg. Quella che ha evocato uno tsunami, sì, proprio uno tsunami, che ha causato ben nove morti (!!!) e che ormai è leggenda vivente, al punto che anche il bardo più ubriaco ne canta le gesta in taverna, tra un rutto e una nota stonata.
È chiaro a tutti: deve essere fermata una volta per tutte.
Non c’è più spazio per esitazioni, né per mezze misure. La vecchia ha giocato a fare la regina, ha sottratto un’anima, ha manipolato un re e ha portato una città intera sull’orlo della rovina. Ora tocca agli eroi disordinati, scombinati, con più problemi comportamentali che buone intenzioni, mettere la parola fine a questa storia.

E lo faranno a modo loro. Con stile, caos, e possibilmente una quantità indecente di mazzate.










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